Periodico d'informazione e cultura. .


>Indice N.5
Editoriale
Storiella semiseria di un timpano molto, molto sensibile
Il futuro del calcio passa tra gli alberi
Davide Granelli: Soldato e venditore ambulante
Il paese degli alberi che scompaiono
Una strada si S.Maria del Taro al Penna
Camping o Campo?
Le mondine
I nostri funghi: Un prodotto unico
Compiano: un'estate tormentata
Il mandarino è sbarcato a Compiano
Ai cittadini di Bedonia
Escursione ai monti Groppetto e Groppo
La gestione in economia della raccolta dei rifiuti

INTINERARI ESCURSIONISTICI...
2 rilievi appartenenti ai diabasi e lave a cuscini (pillows) del monte Penna
di Giannino Agazzi




Partendo da Bedonia ci dirigiamo verso Santa Maria del Taro.
A Pontestrambo, appena oltrepassato il ponte sul Taro, seguiamo le indicazioni Alpe - Foresta monte Penna. Giunti al Passo della Tabella fermiamoci per ammirare il magnifico panorama. Agli appassionati di geologia consiglio di salire per alcuni metri sul sentiero che s’inerpica verso monte Orocco. Qui, su alcuni strati di roccia calcarea, è possibile osservare tracce fossili dei percorsi di un invertebrato antichissimo: l’“helminthoidea labyrinthica”. Parleremo più diffusamente di questi vermi di epoche lontane in un prossimo percorso che ci condurrà al monte Orocco.

Riprendiamo ora l’auto e, raggiunto il Rifugio Monte Penna, dopo soli 600 metri eccoci al bivio da cui partiremo per la nostra meta.
Prima di oltrepassare la sbarra metallica posta sulla sinistra, per iniziare la nostra escursione soffermiamoci un momento allo scopo di focalizzare ciò che incontreremo lungo il percorso. Gli alberi più diffusi sono i faggi accompagnati da più rari esemplari di maggiociondoli alpini (diversi da quelli del monte Pelpi), aceri montani, sorbi e sambuchi montani dalle splendide bacche rosse (estate inoltrata). Tra gli arbusti e le erbe possiamo scoprire lamponi, mirtilli, more, dafne (fior di stecco), rose, viole (calcarata e tricolore), sassifraghe, alchemille, ginestre, al margine della strada la gialla fioritura del senecione di bosco parassitato da un lucente coleottero,...
Ma non indugiamo oltre, superiamo la sbarra e incamminiamoci lungo la strada sterrata. La leggera discesa ci conduce ad un bivio, teniamo la destra e sbuchiamo in un piccolo prato. Di fronte a noi, verso sud-sud est, si erge la vetta del Groppetto. A questo punto cerchiamo di individuare la segnaletica bianca e rossa del C.A.I.
Attenzione, tre sono i percorsi segnalati. Uno scende a sinistra, un altro segue la strada a destra per il Faggio dei Tre Comuni, noi saliamo nella faggeta seguendo la segnaletica centrale. Dopo breve e ripida salita passiamo sotto grandi massi ofiolitici e proseguendo verso destra eccoci in una faggeta quasi pianeggiante. Continuiamo ad avanzare mantenendoci sulla sinistra sempre sotto i grandi massi del Groppetto. Quando inizia la discesa facciamo attenzione perché dopo circa quindici metri, sulla sinistra, in posizione un poco nascosta, si apre l’ingresso della caverna. L’apertura è piuttosto angusta: circa 1 metro per 0,70 (anche nei fianchi del Groppo esiste una caverna di questo tipo ma di più difficile accesso).
Ora, dopo esserci infilati un maglione possiamo entrare.
La grotta detta anche “Buca del diavolo” è lunga 25 metri. “L’origine per frana, oltre che dalla presenza di volte costituite da massi incastrati, si manifesta nella caratteristica sezione trasversale in forma di V stretta e capovolta, le cui gambe sono costituite dalle pareti di due massi ciclopici. Il fondo della cavità è occupato da uno spesso strato di terriccio accumulatosi grazie alle acque piovane; questo terriccio si mostra tutto sconvolto da scavi praticati per ricerche preistoriche in diverse occasioni, ma sempre con risultati negativi. Nella grotta venne catturato dal sig. A. Dodero nel 1896 l’Anophtalmus Gestroi”, (A. De Marchi “Guida naturalistica del Parmense”).
Usciti dalla grotta, scendiamo sulle tracce di un sentiero indicato dalla segnaletica sui fusti degli alberi e in pochi minuti ci ritroviamo nella sella che divide il Groppetto dal Groppo. Attraversato il prato continuiamo lungo il percorso segnato dal C.A.I. che sale su una stradina semiabbandonata. Tenendo la sinistra giungiamo alla fine di questa strada. La solita segnaletica ci indica una traccia di sentiero a destra che sale rapidamente pei condurci verso la cima del Groppo. Durante quest’ultima, faticosa salita, possiamo scoprire piccoli cocci di laterizi d’epoca romana. Soltanto 50-60 anni fa si trovavano embrici, tegoloni, mattoni quasi completi, ma in questi anni, almeno in superficie, quasi la totalità degli esemplari è stata asportata. Anche nel lato opposto (versante sud) erano diffusi questi reperti. Ciò induce ad ipotizzare come già fece Giorgio Monaco (1947) che “la costruzione da cui provengono i frammenti (...) è da localizzarsi” in “uno spiazzo di circa quattro per quattro metri” sito all’estremità ovest dell’anticima. (Corrado Truffelli in “Aurea Parma” gennaio-aprile 2000).
Usciti dal bosco, percorriamo l’ultimo tratto su prato e roccia ed ecco raggiunti i 1347 metri della vetta del Groppo. Verso ovest, in alto, ci appaiono le possenti pareti delle Trevine, più sotto il Groppetto. A destra, in lontananza, le praterie del monte Orocco.

Ora, intanto che riposiamo, vorrei raccontarvi una leggenda legata a questi monti.
Un tempo lontanissimo, sotto l’imponente parete delle Trevine, viveva un gigantesco mago. Aveva una grande passione per il suo giardino che si estendeva nella vasta conca a sud-est del gruppo del Penna.
Qui faggi giganteschi, grandi prati fioriti e due perle di laghi arricchivano il giardino incantato.
Mille e mille anni fa, due fratelli, Groppo e Groppetto, trascorrevano il tempo a pascolare i loro greggi sulle praterie del monte Orocco. Il fratello maggiore allietava le giornate di Groppetto raccontando bellissime fiabe e leggende. Ma un triste giorno i due fratelli, immersi nel mondo fantastico dei loro racconti, non si accorsero che le pecore del gregge si erano allontanate dai pascoli dell’Orocco e avevano invaso il giardino del mago, gelosissimo delle sue stupende fioriture. Quando i due ragazzi giunsero nel grande giardino devastato dalle pecore, li accolse il mago infuriato che, senza ascoltare le loro ragioni, li afferrò e li precipitò in fondo ai due laghetti gridando: “Non vedrete mai più la luce del sole!” e staccando due enormi massi dalle pareti incombenti del Penna, copri i due laghetti facendoli scomparire per sempre. Oggi al loro posto si ergono: il Groppo e il Groppetto.
Passò tanto tempo e i due ragazzi, scavando con le mani, riuscirono a giungere attraverso due cunicoli, alle caverne dei due massicci rocciosi.
Per una misteriosa coincidenza entrambi uscirono dall’imboccatura delle grotte nello stesso istante. Era una notte limpidissima di un plenilunio di primavera. I fratelli rapidamente raggiunsero la cima delle due alture. Groppo, per rincuorare il fratello cominciò a raccontare bellissime storie del nostro Appennino. Poi, prima che il sole apparisse all’orizzonte, i due tornarono nelle viscere della terra. Da allora, ogni anno nella notte del plenilunio di primavera, i due riemergono per raggiungere le vette del Groppo del Groppetto.
Se qualcuno si reca quassù in quella notte, può ascoltare, in profondo silenzio, il sussurrare dei racconti dei due sfortunati fratelli.
Al ritorno percorriamo lo stesso sentiero fino alla sella fra Groppo e Groppetto. Qui, senza salire di nuovo alla caverna del Groppetto, aggiriamo lo stesso verso destra (versante nord—est) percorrendo la carraia all’inizio pianeggiante, poi in salita fino al praticello da cui ci siamo inerpicati fino alla caverna del Groppetto. Ora ripercorrendo l’ampia strada sterrata, in circa 20 minuti, raggiungiamo la sbarra e il bivio dove abbiamo lasciato l’auto.


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