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DAVIDE GRANELLI: SOLDATO E VENDITORE AMBULANTE
Lasciò un interessante diario. Era cavaliere di Vittorio Veneto.
di Renato Cattaneo


Quando parliamo d’emigrazione siamo soliti riferirci alla vicenda dell’espatrio di una persona o di un nucleo famigliare motivato per lo più dalla necessità economica.
In effetti, quella è la forma tradizionale praticata dai molti valligiani in modo stagionale o definitivo. Ma in realtà si possono considerare “emigrazione” anche altre forme di distacco dai paesi d’origine.

Penso, prima di tutto, ai missionari, da considerare veri e propri emigranti del Vangelo e della Fede. Ai soldati, da considerarsi emigranti (ancorché obbligati) della Patria e, infine, ai venditori ambulanti che trascorrevano intere stagioni in giro per l’Italia e all’estero a vendere la loro merce.

Uno di questi è Davide Granelli che alla pari di numerosi compaesani si trovò, nel tempo della gioventù, a fare il soldato, e per tanta altra parte della vita a girare per paesi e città vendendo giocattoli nelle fiere.

Davide Granelli era nato il 14 gennaio del 1896 nella amena periferia del Casello di Bedonia e lì si spense ottanduenne il 10 ottobre del 1978. Sposò una quasi vicina di casa, Maria Raggi, e da lei ebbe tre figlie: Silvana, Teresa ed Etta.

I bedoniesi che abbiano almeno trent’anni ricordano la sua figura alta, dal viso sorridente.

Il Granelli rientra quindi in una categoria consueta di nostri concittadini del passato: inizio precoce del lavoro, parentesi militare, di nuovo lavoro per tutta la vita.
Il nostro Davide ha però una singolare caratteristica. Pur avendo soltanto i primi rudimenti scolastici, forse la terza elementare, ci ha lasciato un diario delle sue memorie di soldato e di venditore ambulante. Ci sono gli errori di chi ha frequentato poco la scuola, ma anche una ammirevole chiarezza descrittiva e la scrupolosa segnalazione di fatti e luoghi. Nella prima parte del diario parla dell’esperienza vissuta nella grande guerra mondiale. Nella seconda parte, racconta i suoi giri di venditore di sogni per bambini.

“Volio scrivere la vita che ò passato durante i quattro anni di guerra dal 1915 al 1918”. Di qui parte il racconto di Davide che ci conduce per mano sui luoghi della sua guerra.
“Sono stato chiamato alle armi nel mese di dicembre del ’15 che sono stato abile e arruolato”. Arruolato nel 77° Reggimento fanteria, il Granelli viene inviato a Brescia, “Istruzioni e tattiche di guerra sino a maggio del ‘16”. Poi, via per il fronte, a proteggere la ritirata dal Trentino, in treno fino ad Ala “poi a piedi fino all’Altissimo ….che c’era il nemico austriaco”. Si era di pattuglia di notte, di giorno si scavavano trincee. Ma “il mio tenente mi vedeva di malocchio”, e lo manda a Verona: istruzione per il lancio di tubi di gelatina (chi ricorda quel canto triste: Maledetto sia il Sampauser, coi suoi tubi di gelatina….) .. e bisognava inviarli nei reticolati nemici.

Si torna poi al reggimento in attesa del cambio che arriva in ottobre, dato dagli Alpini. Quindici giorni di riposo e poi via sui camion… si va sul Carso! “dove era il fronte più cattivo”. Scendono a Redipuglia e ricevono il saluto da una cannonata austriaca che sfonda la cucina; allora si corre alle trincee. A volte si parte per la prima linea e il primo novembre si va all’assalto, si conquista un po’ di terreno, fino a Castagnevizza e poi fermi a scavar di nuovo trincee e camminamenti. E intento si va all’assalto sotto i reticolati nemici “Una notte mi è arrivata una bomba sul mio Baracchino che era coperto di lamiera e sacchetti di terra”. Gli crolla sulla schiena, lo portano all’ospedaletto da campo 3 giorni, il suo commilitone ha “un taglio nella pancia e muore”. Se non si muore si è buoni per un’altra volta, “20 giorni di trincea, dieci di riposo”. Un giorno in galleria arriva l’allarme, una cannonata centra un plotone “quasi tutti morti e sepolti”. Lui per fortuna si salva perché defilato rispetto agli altri. C’è con lui un altro bedoniese, un Dallara, che viene rimandato a casa perché colpito da una scheggia a una spalla. Davide rimane sul Carso. Allora lo mettono a fare buchi sui sassi con lo stampetto e la mazza. Se facevi un buco di 50 cm. avevi finito il lavoro. Una volta “picchia che ti picchia” con lo stampetto sulla mazza, si sente uno scoppio orrendo. Hanno centrato una mina. Panico, polvere negli occhi; al soldato che tiene lo stampetto vola via una mano. Lo portano all’ospedale, a Davide danno un altro aiutante e lui continua a far buchi, con l’incubo di scontrare un’altra mina “e si faceva la vita così, sino a giugno del ’17, si faceva corvè a portare reticolati e munizioni”. Poi c’è stata la grande offensiva di giugno.

Ma noi, caro lettore del “il Mio Paese”, per questa volta ci fermiamo qui. È la prima puntata, continueremo, e poi vi racconteremo altre storie vere, dei nostri soldati e dei nostri emigranti.
Noi crediamo che la storia si possa raccontare anche così: senza retorica, parlando dei triboli quotidiani di chi stava al fronte. Con semplicità, descrivendo i fatti. Ma forse fa più effetto… gonfiare, parlare di erosimi sublimi e spontanei (che “in qualche caso” ci furono anche).
Ne parleremo. Speriamo che queste cose cadano sotto gli occhi di dirigenti ed operatori scolastici, che in verità già insegnano in modo corretto. Arrivederci alla prossima e.. buone vacanze a tutti.

(fine della prima puntata)


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