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INTINERARI ESCURSIONISTICI
BEDONIA >> CARNIGLIA >> CASA BRINA >> BRUSCHI DI SOPRA >> CROCE DI MONTE PELPI >> PUNTA DELL'AGUJA >> SEGNO ROSSO
di Giannino Agazzi


A Bedonia si segue la strada per Santa Maria del Taro - Chiavari. Lungo il percorso troviamo sulla destra l’arenaria dell’ultima cava degli Agazzi. Proseguendo per pochi metri a Km. 8 da Bedonia, possiamo fermarci per ammirare dal basso i selvaggi dirupi del Segno Rosso che sono la meta della nostra escursione.
A 9,5 Km da Bedonia, in località Casa Brina, sulla destra si prosegue per Bruschi di Sopra che raggiungiamo dopo 3 Km.
Attraversando il nucleo abitato, notiamo il piccolo oratorio dedicato a Sant’Anna con bella porta in noce scolpito. Raggiunto, al limite nord del villaggio, il lavatoio pubblico saliamo a destra notando, lungo il percorso, alcuni tratti del vecchio acciottolato (strigau) e i bei muri a secco che, purtroppo, in alcuni punti stanno crollando.
Ancora si indovinano piccoli terreni un tempo coltivati, ora quasi completamente abbandonati ai rovi.

Proseguendo ecco, sulla destra, le “rocche di Foppiano” e la profonda e selvaggia valle del Rio di Catto che separa Fopiano da Casale di Tornolo. Più su, dove la strada si fa pianeggiante, ci si apre la vista sui borghi di Tornolo e Compiano.
Il sentiero prosegue fra noccioli selvatici. Per chi ha interessi naturalistico - botanici, sarà un piacere scoprire sui muri a secco molte speci diverse di piccole felci: Tricomane ibrido, Felcetta sassatile, Adianto nero, Polipodio comune e assai raro su questo percorso: l’Asplenio settentrionale. Una curiosità: quando ero bambino andavamo nei boschi a raccogliere la radice (rizoma) del Polipodio comune (detto anche falsa liquirizia) per succhiarne il succo dolce dal sapore, appunto, di liquirizia. Ai margini del percorso possiamo scoprire anche una pianticella sempreverde bella e interessante: la Dafne laureola, vagamente somigliante ad una piccola palma.

Ma eccoci giunti ad un ruscello con piccole sorgenti stillanti intorno. A questo punto proseguiamo per il sentiero pianeggiante a destra.
Attorno possiamo scoprire ovunque tracce di cinghiali e verdi cespugli di ginestre dei carbonai. Dopo aver proseguito ancora per breve tempo su questo sentiero, in mezzo a grandi noccioli, aceri, maggiociondoli... ecco sulla destra alcuni prati.
Quando troviamo la stradina sbarrata da sterpaglie, scendiamo nel prato con numerosi cespugli di rose canine. Continuando a cammina-re, mantenendoci sulla sinistra, arriviamo in un bel bosco di castagni.
Da qui proseguiamo il cammino dirigendoci verso destra, lungo il crinalino quasi pia-neggiante che s’i-nol-tra nel castagneto.
Ci assicurano che siamo sulla strada giusta alcuni piccoli crateri sulla nostra destra versante sud).

Raggiunta la fine di questo crinale, scendiamo a destra fino a raggiungere l’ultimo cocuzzolo, proseguiamo per 7-8 metri e cominciamo ad abbassarci verso est.
Qui comincia la parte impegnativa. Attenzione e prudenza: aiutiamoci aggrappandoci ai numerosi alberi, diffidare assolutamente degli alberelli secchi.
In pochi minuti raggiungiamo una piccola terrazza. Qui possiamo sederci ad ammirare la selvaggia valle che il Taro ha scavato nei poderosi banchi di arenaria delle gole di Carniglia. Il posto è veramente panoramico. Sotto di noi il Taro e l’antico borgo di Foppiano posto su di un verdissimo pianoro, l’unico che si noti fra questi aspri dirupi. Qui, annidata nelle fessure della roccia, ecco la Santoreggia di monte. Questa pianticella, rara nel nostro territorio, diffonde intorno un gradevolissimo aroma. Facciamo attenzione a non confonderla, come molti fanno, con il più comune origano.
Possiamo ora aggirare il punto della nostra sosta dirigendoci verso nord.
Scendiamo ancora, sempre con grande attenzione per 70 - 80 metri e raggiungiamo una seconda balza. L’ambiente è sempre più suggestivo ed emozionante. Dopo esserci soffermati per godere dello stupendo panorama, scendiamo, verso nord di pochi metri fino a raggiungere un pianoro appena più sotto. Qui negli anni 30 dello scorso secolo erano stati fatti degli “assaggi” per un’eventuale cava.

L’arenaria estratta avrebbe dovuto servire per la costruzione di un grande ponte sul Bisagno a Genova. Ma poi la cosa non ebbe corso. Possiamo ancora scoprire sugli enormi strati di arenaria alcune incisioni (sigle e date): B. L. 30.8.31, S. D. 1930, B. A., GIO, GIANI. Tra le spaccature della roccia, a primavera, ecco un’erba caratteristica dell’ambiente marino: “l’Ombelico di Venere”.
Ma ora vi invito ad osservare i Licheni fogliosi che si aggrappano alla roccia.
Il loro colore rosso - arancio - ruggine ha dato il nome allo sperone roccioso sul quale ci troviamo e che strapiomba sul Taro. Se c’è qualche appassionato possiamo dire che questo lichene del Segno Rosso appartiene alla specie Xanthoria calcicola.
Ora, se interessa potrei raccontarvi una bella leggenda legata a questi luoghi e a questi licheni.
Qui, in una grotta ora crollata, viveva un santo eremita proveniente dal glorioso monastero di Bobbio. Un diavolo, gran cacciatore di anime, aveva preso l’impegno con Lucifero di portargli quel vecchio eremita.

Tante volte aveva tentato di avvicinarsi alla grotta per cogliere di sorpresa il santo, ma lo aveva sempre trovato vigile e pronto a respingerlo con la croce e l’acqua santa.
Dopo tanti tentativi falliti, il diavolo pensò che sbagliava ad avvicinarsi attraverso il sentiero del bosco: l’eremita lo scopriva e preparava le sue “armi”. Decise, perciò, di scalare quei torrioni partendo dal greto del Taro.
Dopo il tramonto, quando le ombre già si stendevano nella profonda gola del fiume, il diavolo cominciò ad arrampicarsi su per i dirupi. La salita era problematica: gli zoccoli non erano adatti, doveva fare assegnamento quasi esclusivamente sugli unghioni delle mani. Ogni tanto gocce di sangue, uscite dalle escoriazioni, macchiavano la nuda roccia. Ancora oggi possiamo vederlo raggrumato sulle pareti (Licheni rossi). Con immensa fatica il coraggioso diavolo arrivò all’apertura della grotta. L’eremita, terminata la preghiera della sera, stava benedicendo con la croce tutta la valle del Taro. Il diavolo si rizzò con un ultimo sforzo per raggiungere la piattaforma della grotta, ma nella fretta, inavvertitamente, toccò con un corno uno dei bracci della croce. Un brivido indicibile lo scosse tutto e, in un attimo, precipitò a valle. Il corno che aveva toccato la croce diventò rosso e fumante. Il povero diavolo per scacciare il dolore e sfogare la rabbia con un balzo fu contro la roccia che regge i prati di Fopiano e cominciò a colpirla con poderose cornate fino a provocare profonde crepe nel masso prima di tornarsene scornato ad ascoltare le frecciate ironiche di Lucifero.

Queste profonde crepe nella roccia ne hanno minato la consistenza e continue cadute di sassi hanno reso pericoloso per centinaia d’anni il sottostante passaggio. Oggi chi percorre la strada Bedonia - Santa Maria - Chiavari trova questo punto protetto da una “tettoia” in cemento che scarica i massi direttamente in Taro. Il ritorno a Bruschi di Sopra avviene ripercorrendo a ritroso lo stesso itinerario.


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