Periodico d'informazione e cultura. .


>Indice N.2
Editoriale
L'addio alla Scuola di Sport: intervista a Carlo Devoti
Cosa dice l'Amministraziione Comunale sulla Scuola di Sport
L'asilo nido di Bedonia: un po' di chiarezza
La casa protetta di Bedonia
Il futuro del castello di Compiano
Progetto di riqualificazione del centro storico di Bedonia
Approfondimenti sul piano regolatore di Bedonia
Il Simposio Internazionale di Scultura
Volevamo parlare della Comunità Montana, ma...
Studiare le proprie radici
Preoccupante calo della popolazione
Lettera al direttore
Piccolo vocabolario del nostro dialetto
A mé Pieve
Una ricetta: tagliatelle con gli spinaroli

STUDIARE LE PROPRIE RADICI
di Renato Cattaneo


Saremo, nel futuro, cittadini migliori
Recentemente lo scrittore Ferdinando Camon ha avanzato una interessante proposta: inserire nei programmi scolastici l'insegnamento della storia locale, attribuendole una quota oraria obbligatoria, nell'ambito del tempo riservato alla Storia generale.

Sottoscriviamo la proposta con entusiasmo. Ci sono ragioni forti che ci convincono della bontà dell'iniziativa. La prima ragione si basa sulla consapevolezza che il bimbo e il ragazzo in età scolare imparano a conoscere sé stessi e chi li circonda, se gli si insegna come vivevano un tempo i bambini, i genitori, i nonni del proprio paese, se si istruiscono sulle caratteristiche dell'ambiente dove si svolge la propria vita, se si fanno rivivere gli usi e le tradizioni del territorio.

I nostri bambini di oggi saranno cittadini d'Europa, questa sarà la dimensione istituzionale nella quale vivranno. E allora dovranno imparare a conoscere le vicende francesi, spagnole, svedesi...
Capiranno meglio le radici e le ragioni dell'Unione Europea. Ma se insieme a questo verranno a sapere che i loro nonni e bisnonni hanno percorso in lungo e in largo il suolo di tutti i paesi europei, spargendovi a fiumi il loro sudore e l'ingegnosità di poveri emigrati o di soldati, di abili artigiani, di tenaci contadini, di venditori ambulanti, di suonatori d'organetto o di giocolieri, domatori di animali, di circensi coraggiosi, di minatori o operai dell'industria, di apprezzati ristoratori, ecco, allora i nostri bambini sentiranno meno estranei quei paesi che fino a poco tempo fa chiamavamo l'ESTERO e ora sono invece una REGIONE della grande casa comune europea. E proprio così sentiranno di essere cittadini discendenti da persone che hanno posto tanti mattoni per la costruzione dell'Europa e ne potranno anche essere fieri.
Capiranno anche il valore e il dovere della solidarietà verso chi vive in condizioni di disagio economico e sociale rispetto a noi italiani di oggi, che abbiamo raggiunto un certo grado di floridezza, ma che nei secoli scorsi, soprattutto qui, nelle nostre valli appenniniche, faticavamo per strappare alla magra terra il necessario sostentamento alimentare.
Il Capitano Boccia che nel 1804 compì per conto del Ducato il noto "Viaggio ai Monti di Parma" scrisse che nelle plaghe più povere del nostro Appennino si traeva dalla terra quanto bastava per sopravvivere pochi mesi all'anno.
Ma la storia locale, la cultura del mondo piccolo, ci permetterà di conservare, nel crogiolo generale della globalizzazione europea e mondiale, una nostra particolarità di "Gens Appenninica" che ci renda individuabili, speriamo più per pregi che per difetti.

Ricordiamoci che i Governi, buoni o meno buoni che siano, hanno sempre la tentazione di imporre un tipo di cultura, magari inserendo nei programmi scolastici elementi di omologazione generale. Pensiamo ad esempio alla emarginazione dell'uso e delle studio dei dialetti. Chi, come noi, ama parlarlo ed assaporarne la costruzione grammaticale e sintattica, o i sapidi umori gergali, dei modi di dire, oppure cerca l'origine e la derivazione delle parole e dei nomi, scopre una inesauribile fonte di conoscenze storiche e scientifiche.
Certo vi fu all'indomani dell'Unità d'Italia la necessità fondamentale di dotare la popolazione delle tante regioni d'Italia di un codice di comunicazione indispensabile per intenderci tra "Italiani", ma fu un errore respingere nel dimenticatoio gli idiomi locali e la storia delle passate appartenenze etniche e sociali.
Il grande studioso del Medioevo Jacques Le Goff pensa che gli oblii e i silenzi nelle storia siano rivelatori della volontà dei ceti dirigenti di manipolare la memoria popolare.
I nostri montanari che giravano l'Italia a vendere mercanzie e giocattoli furono alfieri e precursori dell'unità d'Italia e quelli che si "mettevano in via" trascorrendo i sentieri continentali dalla Sicilia alla Siberia furono in un certo senso i primi portatori dello spirito Europeista.
Nel 1998 uscì un romanzo del nostro concittadino Arturo Curà: si intitola “Orsanti” e vi si raccontano con il tocco della fantasia le avventure di orsanti dei nostri paesi. Alla grazia poetica della costruzione letteraria si accompagnano spesso osservazioni e intuizioni di tipo saggistico. Nel capitolo di Epilogo l'autore ci introduce nel clima di trepidazione per l'entrata dell'Italia in guerra. Siamo nel 1915, il mestiere girovago ha già perso molto del suo fascino, il conflitto induce i nostri "commedianti" a disfarsi dei loro circhi. Francesco Bernabò, protagonista del racconto, si accinge ad un mesto ritorno alla natia Cavignaga e così riflette amaramente e profeticamente "... Con i nostri viaggi e il nostro lavoro avevamo abbattuto ogni frontiera. Tutta l'Europa era diventata il nostro paese".
Cari lettori de "Il mio Paese", se il giornale continuerà ad ospitare i nostri scritti noi vi racconteremo ogni volta una STORIA di persone e di avvenimenti. E saranno persone e avvenimenti che interesseranno il nostro piccolo mondo, ma che assumeranno valore emblematico per la comprensione della vicenda di ogni uomo e di ogni paese della terra.
Saremo felici se qualcuno di voi si appassionerà alla riscoperta e allo studio della "piccola storia".


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