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LA PATATA QUARANTINA BIANCA GENOVESE: UNA PICCOLA STORIA, UNA PICCOLA SPERANZA
di Alberto Chiappari
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Quando nel luglio del 1999, fra le varie lettere e circolari che quotidianamente arrivano nelle carpetta di un assessore, mi capitò in mano una comunicazione del Co.Re.Pa (un comitato nato in seno alla Provincia di Genova), capii che finalmente era arrivata l'occasione per inserire anche Bedonia e la sua zona in un circuito economico, turistico e culturale che da alcuni anni stava crescendo in modo assolutamente esponenziale in tutta Italia. Era facile scoprire nei giornali o nelle riviste qualche articolo su questo o quel prodotto tipico e su come tante zone simili alla nostra si erano rilanciate proprio tramite la valorizzazione di questi prodotti. Vicino a noi avevo ben presente il riconoscimento dell'IGP al fungo di Borgotaro e da qualche parte avevo letto della patata della Val d'Aveto.
Presi pertanto contatto con il firmatario della lettera: Massimo Angelini. Dopo vari problemi andammo insieme ad "esplorare" i nostri monti. In poco tempo ecco "saltar fuori", a Selvola, la Quarantina, ad Anzola la Prugnona e a Spora la Cabannese, tutte varietà di patate che stavano scomparendo e che il Comitato si proponeva di difendere. In particolare la Cabannese era una vera rarità. Si poteva pertanto a buon diritto far aderire al Co.Re.Pa. il Comune di Bedonia. Successivamente sia a Bedonia sia a Santa Maria del Taro si tennero incontri con gli amministratori e gli agricoltori e nel settembre 2000 si svolse la prima fiera della patata Quarantina a Molino dellAnzola. Il risultato di tutto questo lavoro fu liscrizione al Consorzio delle prime tre aziende agricole che nella primavera del 2001 hanno seminato quarantine e cabannesi. Con la seconda fiera, tenutasi lo scorso settembre, è esploso linteresse per questa iniziativa e, grazie anche ai risultati economici ottenuti dai pionieri di questa coltivazione, altre aziende si iscriveranno nel 2002.
Per evitare confusioni è bene ora ricostruire la storia precedente l'arrivo della fatidica lettera nelle mie mani. Alcuni anni fa, Angelini, professore di storia rurale all'Università di Genova, iniziò a vagabondare per la montagna genovese alla ricerca delle varietà locali che andavano scomparendo. In particolare si interessò alle patate. Con l'aiuto della provincia di Genova nacque allora il Co.Re.Pa. a cui aderirono amministrazioni comunali, comunità montane ed altri soggetti della provincia di Genova. L'invito ad aderire al Comitato fu esteso anche ai comuni spezzini, parmensi, piacentini, alessandrini e savonesi. Un territorio, quindi, che pur avendo notevoli differenze al proprio interno, aveva sempre mantenuto stretti rapporti nei secoli passati. Essendosi poi costituito il vero e proprio consorzio dei produttori (e cioè il Consorzio di tutela della Quarantina) il Co.Re.Pa, avendo esaurito la propria funzione, si sciolse.
Questo nuovo Consorzio, nella scorsa primavera ha iniziato ufficialmente liter per il riconoscimento della D.O.P. (Denominazione dOrigine Protetta) per la Quarantina bianca, nel cui territorio, oltre a Bedonia, sono inserititi i comuni di Albareto e Tornolo.
Questa, seppur brevemente, è la recente storia della Quarantina a Bedonia, mi pare però opportuno spiegare anche le motivazioni che spingono un amministratore ad interessarsi di patate.
Occorre purtroppo partire da un dato importante: lagricoltura della nostra montagna sta scomparendo e con essa le nostre frazioni. I risultati dellultimo recente censimento dellagricoltura parlano di una riduzione vertiginosa del numero di aziende agricole nei nostri comuni. La Valceno bedoniese, dopo la chiusura del caseificio di Ponteceno, rischia di non avere più prospettive. Anche lallevamento di bovine da latte, che tanti meriti ha avuto nel mantenere un reddito significativo per le nostre aziende, ha costi sempre più insostenibili per i nostri territori ed è troppo legato alle oscillazioni, a volte notevoli, del prezzo del Parmigiano-Reggiano. Concentrarsi su un'unica produzione può essere rischioso. Forse è troppo tardi ma dobbiamo dare alternative alle nostre aree rurali con una nuova politica che sappia coniugare produzioni di qualità, valorizzazione dellambiente, cultura e turismo. La vicenda della patata può essere un utile esempio di questa politica. Vediamo perché e la sua valenza punto per punto:
1 Valenza economica: non è pensabile che molte aziende possano vivere esclusivamente sulla coltivazione delle patate. Molte famiglie potrebbero però trovare in questa attività una interessante fonte di integrazione al proprio reddito;
2 Valenza paesaggistica: la possibilità di gestire il territorio, che si sottolineava nel punto precedente, impedirebbe fenomeni di dissesto del suolo e la scomparsa
del paesaggio rurale che luomo ha modellato nel corso dei secoli;
3 Valenza turistica: sempre più spesso il turista raffinato di oggi ricerca luoghi e sapori nuovi. O meglio sapori antichi da riscoprire. La patata quarantina nei piatti dei nostri ristoranti può essere un tocco in più per diversificare lofferta dei prodotti locali;
4 Valenza culturale: il recupero delle varietà orticole locali è anche un recupero culturale perché è soprattutto dalle cose quotidiane che è passata la storia dei nostri paesi;
5 Valenza psicologica: è innegabile che nelle nostre frazioni esista una forte rassegnazione. Ci si è lasciati andare alla convinzione che il degrado ed infine la morte di secolari comunità sia un fatto ineluttabile. Tuttavia, la riscoperta della quarantina e delle altre patate può essere una spinta psicologica a comprendere come sia possibile rischiare in nuove iniziative, crearne altre ed assicurarsi un futuro;
6 Valenza di stimolo alla collaborazione: il fattore più limitante delle nostre piccole frazioni è il fortissimo individualismo che impedisce iniziative e collaborazioni importanti. Lessere partecipi di uno stesso progetto, ritrovarsi insieme allinterno dello stesso consorzio può creare uno spirito nuovo;
7 Valenza di stimolo ad uno sviluppo sostenibile: una delle grandi discussioni che a livello globale impegna i governi del mondo è quella del cosiddetto sviluppo
sostenibile. Da più parti ci si è resi conto che proseguire in uno sviluppo delle attività umane in modo incontrollato rischia di portare al collasso del nostro pianeta. Inventare attività compatibili con lambiente e la qualità della vita è divenuto perciò una specie di imperativo categorico.
In conclusione non mi aspetto che come nei secoli scorsi la salvezza dagli stenti e dalla fame arrivi dalle patate, o che esse siano la risoluzione dei problemi della montagna, ma spero possano essere un aiuto e uno stimolo. Spero soprattutto che possa nascere da questa mie riflessioni una discussione sul modello di sviluppo che vorremmo per le nostre comunità. Riflessione di cui, a mio parere, si sente un gran bisogno. |
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